LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 282
 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per  l'anno  1988,
 promossa  da  Sanna Giovanni Maria, in proprio e quale procuratore ad
 negotia di Sanna Caterina, Sanna  Salvatore,  Sanna  Pietro  Paolo  e
 Sanna  Maria  Maddalena, domiciliati elettivamente in Cagliari presso
 lo studio dell'avv. Beniamino Piras, che li rappresenta e difende  in
 forza  di procure generali alle liti 30 maggio 1988 e 1½ giugno 1988,
 attori, contro il comune di Pattada,  in  persona  del  sindaco  pro-
 tempore, contumace, convenuto.
    Con  decreto  n.  5/38  in data 6 maggio 1988, notificato il 24-26
 dello stesso mese, il presidente della giunta regionale Sarda dispose
 l'espropriazione, a favore del  comune  di  Pattada,  in  un'area  di
 proprieta'  degli  attori  di  15.051  mq, sita nell'abitato di detto
 comune, per l'attuazione del piano di zona per l'edilizia economica e
 popolare.  L'indennita'  di  espropriazione  fu  determinata  in   L.
 12.539.900 per il suolo ed in L. 6.960.000 per i soprassuoli, secondo
 i  criteri  dettati  dalla  legge  n.  865/1971,  sul presupposto che
 l'immobile avesse esclusiva suscettivita' di uso agricolo.
    Deducendo che trattavasi invece di area fabbricabile e che il  suo
 valore  era  pertanto  di  gran lunga superiore, gli attori, con atto
 notificato al comune di  Pattada  l'8  giugno  1988,  hanno  proposto
 opposizione alla determinazione dell'indennita' di esproprio.
    In  contumacia  del  comune,  la  causa  e'  stata istruita con la
 produzione dei documenti comprovanti le circostanze esposte nell'atto
 di citazione e con una consulenza tecnica d'ufficio, che ha accertato
 che l'area in oggetto aveva gia' all'epoca del decreto  di  esproprio
 sicura destinazione edilizia e ne ha quindi determinato il suo valore
 venale.
    Dopo  la  precisazione delle conclusioni, la causa e' stata quindi
 rimessa al collegio per la decisione.
    Senonche', nelle more, e' entrata in  vigore  la  legge  8  agosto
 1992,  n.  359,  che  all'art.  5-bis  detta  nuovi  criteri  per  la
 valutazione della edificabilita' delle aree e per  la  determinazione
 dell'indennita' di espropriazione di queste aree che, alla stregua di
 tali criteri, debbano ritenersi edificabili.
    Di  tale  disposizione  -  ed  anche,  per le ragioni che vedremo,
 dell'art. 15, n. 5, della legge  23  agosto  1988,  n.  400,  nonche'
 dell'art.  1 della stessa legge n. 359/1992 - la difesa degli attori,
 con memoria depositata l'8 ottobre 1992, ha eccepito l'illegittimita'
 costituzionale per violazione degli artt. 71, 72, 117, 53 e 113 della
 Costituzione.
    Sotto il primo profilo gli attori rilevano che a  norma  dell'art.
 71 della Costituzione il progetto di legge che deve essere redatto in
 articoli   separati,   e   che,   secondo   il  successivo  art.  72,
 l'approvazione delle camere deve essere fatta separatamente  articolo
 per articolo e poi, complessivamente, con votazione finale.
    Cio' per consentire ai membri delle Camere di esaminare e valutare
 analiticamente  i  singoli  articoli, l'uno separato dall'altro, e di
 procedere poi ad una valutazione complessiva finale del  progetto  di
 legge risultante dalla votazione sui singoli articoli.
   In  contrasto  con  tali  precetti  costituzionali - sostengono gli
 attori - l'art. 15, n. 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dispone
 che le modifiche apportate al decreto-legge in  sede  di  conversione
 sono  elencate  in  allegato  alla  legge, cosi' come e' accaduto, in
 particolare per la legge 8 agosto 1992, n. 359, che ha convertito  in
 legge  il  d.l. 11 luglio 1992, n. 333, introducendo anche l'art. 5-
 bis di cui si discute. Detta legge si compone infatti di un  articolo
 unico  ("Il  d.l. 11 luglio 1992, n. 333, recante misure urgenti per
 il risanamento della finanza pubblica, e' convertito in legge con  le
 modificazioni  riportate in allegato alla presente legge") e tutte le
 modifiche sono elencate in allegato alla legge stessa.
    Ne discende che la  legge  di  conversione  in  oggetto  e'  stata
 approvata  mediante  votazione  soltanto del suo articolo unico e non
 anche  mediante  votazione  dei  singoli  articoli  del  decreto   da
 convertire e delle relative modifiche.
    Di qui l'illegittimita' costituzionale - deducono gli attori - sia
 dell'art.  15,  n. 5, della legge n. 400/1988 sia dell'articolo unico
 della legge n. 359/1992, sia infine del citato  art.  5-bis,  per  il
 quale   l'illegittimita'   risulta  particolarmente  evidente:  esso,
 infatti, non ha nemmeno  carattere  di  modifica  del  decreto-legge,
 giacche' contiene una norma completamente nuova rispetto alla materia
 del  d.l.  n.  333/1992,  che  non  riguardava le espropriazioni per
 pubblica utilita'.
    Sotto il secondo profilo gli attori rilevano che con  il  disposto
 del  n.  5 dell'art. 5-bis della legge n. 359/1992 e' stato demandato
 al Ministro dei lavori pubblici, ai sensi  dell'art.  17  della  gia'
 citata  legge  n.  400/1988, di definire i criteri ed i requisiti per
 l'individuazione della edificabilita' di fatto delle aree.
    Senonche', la competenza legislativa  in  relazione  all'attivita'
 costruttiva edilizia e' attribuita, dall'art. 117 della Costituzione,
 alle  regioni:  ne  discende  -  deducono  gli  attori  - che il n. 5
 dell'art. 5-bis viola tale precetto costituzionale.
    Ed   infatti  il  richiamato  art.  17  della  legge  n.  400/1988
 conferisce ai Ministri il potere  regolamentare  per  l'attuazione  e
 l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di
 principio,  "esclusi" pero' "quelli relativi a materie riservate alla
 competenza regionale".
    Sotto il terzo  profilo  gli  attori  rilevano  che  il  pagamento
 dell'indennita' dovuta per l'espropriazione di un immobile occorrente
 per  la  realizzazione  di  un'opera  pubblica, costituisce una spesa
 pubblica alla quale, in base all'art. 53  della  Costituzione,  tutti
 devono concorrere in ragione della loro capacita' contributiva. Ma se
 invece l'indennita' di espropriazione viene determinata, come prevede
 l'art. 5-bis, in misura inferiore al valore venale che si ricaverebbe
 da una delibera contrattazione di compravendita del bene espropriato,
 il  proprietario di quest'ultimo e' chiamato a contribuire alla spesa
 di realizzazione dell'opera pubblica oltre che in ragione  della  sua
 capacita'  contributiva  generale,  come  avviene per tutti gli altri
 contribuenti, anche con un contributo personale e diretto, pari  alla
 differenza  tra  il valore venale del bene espropriato e l'indennita'
 di espropriazione di minore importo.
    L'art. 5-bis in commento viola pertanto - concludono gli attori  -
 anche il citato art. 53 della Costituzione.
    Sotto il quarto ed ultimo profilo gli attori rilevano che, a norma
 del  n. 1 dell'art. 5-bis in commento, l'indennita' di espropriazione
 delle aree fabbricabili e' determinata nella media tra il valore  re-
 ale ed il reddito dominicale rivalutato, e la diminuzione di tale me-
 dia  del  40%. Senonche' il n. 2 dello stesso articolo dispone che in
 ogni fase del procedimento espropriativo il soggetto espropriato puo'
 convenire la  cessione  volontaria  del  bene  e  che  in  tale  caso
 all'importo della media tra il valore venale ed il reddito dominicale
 rivalutato non applica la predetta riduzione del 40%.
    Cio'  comporta, evidentemente, che in tutti i casi di impugnazione
 del decreto di espropriazione o di opposizione giudiziale alla misura
 di  indennita'  di  esproprio  determinata  in  via   amministrativa,
 l'espropriato subisce la perdita automatica del 40% dell'indennita' e
 che   tale   perdita   assume  il  carattere  di  sanzione  a  carico
 dell'espropriato per avere richiesto la  tutela  giurisdizionale  del
 suo interesse legittimo o del suo diritto soggettivo.
    In  tal  modo - concludono gli attori - la norma viola palesemente
 il principio costituzionale della tutela degli interessi legittimi  e
 dei    diritti    soggettivi   contro   gli   atti   della   pubblica
 amministrazione, sancito dall'art. 113 della Costituzione.
    La questione di costituzionalita' cosi' proposta dagli  attori  e'
 certamente  rilevante  nel  presente  giudizio  giacche',  secondo il
 disposto dell'ultimo comma dello stesso  art.  5-bis,  i  criteri  di
 determinazione  dell'indennita'  di espropriazione stabiliti da detto
 articolo si applicano anche nei procedimenti in corso:  la  decisione
 della domanda dipende quindi proprio dall'applicazione delle norme di
 cui si deduce l'incostituzionalita'.
    La   Corte   ritiene  inoltre  la  questione  "non  manifestamente
 infondata", sia alla luce dei richiamati artt. 71, 72, 117, 53 e  113
 della   Costituzione,   sia   anche   alla  luce  dell'art.  3  della
 Costituzione, cui pure la Corte, d'ufficio,  ritiene  di  dover  fare
 riferimento.
    Il  maggior  contributo richiesto, per la realizzazione dell'opera
 pubblica, al proprietario del bene espropriato rispetto a  tutti  gli
 altri  contribuenti  (gia'  considerato  con  riferimento all'art. 53
 della Costituzione) appare  invero  privo  di  qualsiasi  ragionevole
 giustificazione.
    Altrettanto  ingiustificata  appare  la  disparita' di trattamento
 stabilita tra  il  soggetto  espropriato  che  conviene  la  cessione
 volontaria   del   bene  e  quello  che  invece  propone  opposizione
 giudiziale alla stima o comunque impugna il decreto di esproprio.
    Va pertanto ordinata  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale e, sospeso il presente giudizio, va disposto che
 a  cura  della  cancelleria  la  presente ordinanza sia notificata al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai  Presidenti
 della  Camera  dei  deputati e del Senato della Repubblica ex art. 23
 della legge 11 marzo 1953, n. 87.